Amici miei, vicini e lontani: buongiorno!
Venerdì c’è stato il Consiglio comunale, preceduto da una riunione dei Capigruppo. Il tema di discussione è stato la delibera sulla “privatizzazione” dell’acqua: si è deciso per un rinvio dell’argomento (che era inserito nell’Ordine del giorno del Consiglio comunale) al prossimo Consiglio comunale programmato per il 19 marzo 2010.
I Capigruppo, con il Sindaco, hanno deciso di dar vita ad una “commissione” ad hoc per lo studio e la redazione di una delibera condivisa da portare all’approvazione del Consiglio comunale.
Per Vivi Alife parteciperà alla Commissione Daniele Martino, attuale Presidente dell’Associazione.
Suggerisco una lettura sull’argomento.
E’ un articolo di Franco Talenti pubblicato oggi da ItaliaOggi
Sull'acqua vive un gran baraccone
In Italia essa è abbondante. Il fatto vero è che viene sprecata con gestioni dissennate Dà da bere agli amministratori pubblici, più che alla gente
Se chiedete al vostro vicino di casa o a chi vi sta seduto accanto sul treno se ritiene di pagare poco o tanto per l'acqua del rubinetto, e di indicarvi quanto paga ogni anno, in nove casi su dieci scoprirete che non ne ha idea. L'acqua serve più del telefonino, ma costa molto di meno. Il suo prezzo è spesso così modesto che molti sono convinti che sia gratuita. In fondo, l'acqua è un bene primario, come l'aria: senza acqua non c'è vita. Perché mai dovremmo pagarla?
Purtroppo, a differenza dell'aria, l'acqua sta diventando un bene sempre più raro. Quando il 22 marzo si celebrerà la Giornata mondiale dell'acqua, saremo subissati da un'inflazione di dati sulla sua scarsità sul pianeta, soprattutto di quella potabile. Ma in Italia l'acqua non scarseggia affatto, anzi. È però assodato che i servizi idrici sono gestiti in modo pessimo.
Le società municipalizzate e i consorzi che se ne occupano, tranne rarissimi casi, seguono per lo più principi gestionali estranei alla cultura d'impresa. Il risultato è che l'industria dell'acqua è una gigantesca fabbrica di sprechi idrici e di perdite di denaro. Secondo uno studio di Mediobanca, a causa delle pessime condutture, ogni anno l'Italia spreca il 30,1 per cento delle risorse idriche, contro il 7 per cento della Germania. È come buttare 2,5 miliardi di euro dalla finestra: una somma che equivale al taglio dell'Ici sulla prima casa.
Il record delle perdite spetta all'Acquedotto pugliese (50,3 per cento dell'acqua trasportata), mentre la MM di Milano è tra le società di gestione più virtuose, con appena il 10,3 per cento.
Uno studio recente, coordinato da Alessandro Marangoni, docente alla Bocconi, ha indicato in 110 miliardi di euro il costo delle infrastrutture che mancano. Servirebbero 51 mila chilometri di nuove reti (di cui 30 mila di nuovi acquedotti e 21 mila di fognature); mentre su circa 170 mila chilometri della rete (di cui 125 mila sono acquedotti) si dovrebbe intervenire con urgenza per fare delle riparazioni.
Un lavoro colossale ed epocale, che richiederebbe investimenti per 20 miliardi di euro per gli acquedotti e 29 miliardi per le fognature. Lo studio della Bocconi calcola che una simile impegno darebbe luogo nell'arco di 25 anni a un risparmio di 130 miliardi di euro, tale da compensare l'esborso.
È bene non illudersi. A differenza di altri paesi, in Italia non esistono grandi industrie dell'acqua in grado di assumere impegni di questa portata.
In Francia, Suez e Veolia sono delle multinazionali che operano in tutto il mondo. Le società italiane più grandi sono delle municipalizzate come A2A, Hera, Acea, Iride che, al massimo, sono presenti nelle regioni vicine a quelle dove hanno la loro sede storica. Un ritardo dove le responsabilità politiche sono molto gravi.
Il primo tentativo di uscire dalla frammentazione gestionale fu fatto nel 1994 con la legge Galli. Allora, in Italia, vi erano 13 mila acquedotti controllati da 5.500 aziende locali, controllate a loro volta da 8 mila comuni. Negli stessi anni, le aziende idriche in Germania erano un centinaio, in Inghilterra 26.
Per fare massa critica, la legge Galli stabilì che la gestione dei servizi idrici doveva essere riorganizzata sulla base degli Ato (Ambiti territoriali ottimali), da definire sulla base dei bacini idrici omogenei, da delimitare in base alla comunanza delle falde, dei pozzi, dei fiumi, dei laghi e ovviamente degli acquedotti.
L'idea era giusta. Ma l'applicazione pratica, affidata ai politici, è stata pessima. Di fatto, gli Ato sono stati modellati quasi tutti in base alla province, cioé su entità amministrative che non avevano nulla a che fare con i bacini idrici ottimali, ma erano funzionali alle lottizzazioni delle poltrone. È così che sono stati costituiti 91 Ato, i quali, con molta lentezza, hanno poi affidato i servizi idrici a nuovi gestori, che, rispetto ai precedenti, non avevano affatto una maggiore vocazione all'efficienza. Si tratta infatti di aziende o consorzi, per lo più pubblici, che hanno ricevuto l'incarico in house, senza gara.
Giuseppe Marino, nel saggio «La casta dell'acqua», riferisce che, nei 91 Ato, i gestori censiti sono oggi 106, di cui appena 7 interamente privati, mentre quelli interamente pubblici sono 58 pubblici, quelli semipubblici 31, il resto consorzi di varia natura.
Questa realtà dovrà ora fare i conti con la legge Ronchi, che recepisce una direttiva europea che impone di mettere a gara i servizi idrici, facendo spazio nella gestione ai privati, fermo restando che l'acqua rimane un bene pubblico inalienabile.
Sulla carta, come ha sostenuto il ministro Ronchi nel presentare la legge che porta il suo nome, l'obiettivo è di migliorare il servizio e di ridurre le tariffe, che in Italia sono di gran lunga le più basse in Europa. Ma sono davvero in pochi a credere che l'acqua dei rubinetti potrà costare meno.
La spesa familiare media per l'acqua è di 260 euro, con punte di 386 ad Arezzo e di 378 a Firenze, Prato e Pistoia. Tra il 2000 e il 2009, a fronte di un caro vita salito del 22,4 per cento, l'acqua del rubinetto è rincarata del 47 per cento. Il tutto per sostenere non tanto le migliorie dei servizi, ma i lauti stipendi che i nuovi amministratori di nomina politica si sono assegnati, approfittando della distrazione generale.
Le eccezioni sono rare. Ci sono consorzi snelli e parsimoniosi, come quello di Bergamo, dove si spendono 370 mila euro in tutto, mentre quello di Sarnese Vesuviano ne costa 2,4 milioni. In Sicilia, poi, è un vero scandalo. L'isola è divisa in 27 Ato con 189 consiglieri che costano ben 12 milioni di euro l'anno.
A coordinare il tutto c'è un'Agenzia regionale, il cui direttore generale è il burocrate meglio pagato d'Italia: 567 mila euro l'anno, più di 1.500 euro al giorno. Con risultati a dir poco disastrosi: ad Agrigento l'acqua del rubinetto costa 400 euro l'anno per famiglia, ma arriva di rado, e d'estate quasi mai.
Un simile sistema, che finora ha dato più da mangiare che da bere ed è servito a coltivare clientele, va rivoltato come un calzino.
L'acqua non è né di destra, né di sinistra. È un bene di tutti. E sia benvenuta la legge Ronchi se, con gli appalti a gara, aiuterà a tagliare sprechi e privilegi, migliorare la qualità dei servizi e garantire tariffe eque, come già avviene in molte città del Nord. A Milano, la bolletta media per l'acqua è di appena 106 euro l'anno, un quarto di Agrigento. Serve altro?
Buona giornata.
Ciao, Daniele.
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