Mi fa una sensazione strana....sono trascorsi due anni, ma i problemi stanno ancora tutti qui. Anzi no: sono cresciuti, infatti. La vita in questa nostra città, accidenti, è visibilmente peggiorata. E non si vede uscita. Ma non doveva esserci il "nuovo"?
Buon weekend.
Ciao, Daniele.
Good morning, Alife di mercoledì 5 maggio 2010

Amici miei,
vicini e lontani: buongiorno!
Oggi sono molto breve; ma vi lascio altro da
leggere (per chi vuole, ovviamente).
Spesso ho usato le parole “dissesto finanziario” con riferimento ai conti del nostro Comune. L’ho usata anche durante l’ultimo Consiglio comunale, dubitando sul fatto che la vendita dei beni immobili possa avere a che fare con i conti che non tornano, piuttosto che rappresentare una misura di investimento (per esempio: il Comune vende questi immobili perché vuole costruire un favoloso parco giochi per i nostri figli!).
Spesso ho usato le parole “dissesto finanziario” con riferimento ai conti del nostro Comune. L’ho usata anche durante l’ultimo Consiglio comunale, dubitando sul fatto che la vendita dei beni immobili possa avere a che fare con i conti che non tornano, piuttosto che rappresentare una misura di investimento (per esempio: il Comune vende questi immobili perché vuole costruire un favoloso parco giochi per i nostri figli!).
Peraltro, la presentazione del Bilancio da
parte del Vice Sindaco non lascia dubbi: la vendita è necessaria per non alzare
le tasse! Sì, per non alzare le tasse quest'anno: e per i prossimi anni, che
cosa vendiamo?
Ieri, ItaliaOggi ha pubblicato un
articolo che può aiutarmi a far passare questo concetto…… buona lettura! (cliccare sull'immagine per ingrandire
)
Buona giornata.
Buona giornata.
Ciao, Daniele.
L'allarme del
Viminale: c'è una difficoltà finanziaria sommersa. Poteri sostitutivi ai
prefetti
GLI ENTI LOCALI DRIBBLANO IL
DISSESTO
Per evitare critiche i sindaci evitano
il default. E non risanano
(Di Francesco
Cerisano)
Sarà perché mettere in piazza i risultati di
una gestione economica dissennata, esponendosi al pubblico ludibrio dei
cittadini e dei media, non fa piacere a nessuno. O perché molto spesso ignorano
i possibili futuri benefici di un risanamento radicale nei conti. E preferiscono
tirare a campare vivendo alla giornata, nella speranza che prima o poi arrivi il
classico aiutino da Roma, come successo con Catania qualche anno fa che si salvò
dal default solo grazie a un sostanzioso assegno del governo Berlusconi. Fatto
sta che sindaci e presidenti di provincia si dimostrano sempre più restii nel
dichiarare lo stato di dissesto degli enti che amministrano. Una latitanza a cui
si dovrebbe in qualche modo sopperire attribuendo per esempio ai prefetti il
potere di sostituirsi ai primi cittadini nella decisione di attivare la
procedura. Una norma del genere il governo l'ha già messa in cantiere,
inserendola nel ddl anticorruzione, ma visto che i tempi per l'approvazione del
provvedimento non si annunciano brevi (il testo non è ancora approdato in
parlamento) meglio sarebbe se i sindaci comprendessero una volta per tutte che
un ente in dissesto deve sì tirare la cinghia «e rinunciare momentaneamente ai
propri poteri di autogoverno», ma solo così può raggiungere «un equilibrio di
bilancio duraturo». A dirlo è la direzione centrale finanza locale del ministero
dell'interno in un report sul dissesto finanziario degli enti locali pubblicato
ieri.
I tecnici del dipartimento guidato da Giancarlo Verde hanno analizzato i primi vent'anni di normativa sul dissesto, dal decreto legge n.66/1989 con cui l'istituto ha fatto la prima comparsa nel nostro ordinamento fino al Testo unico del 2000 con le modifiche introdotte sul punto dalla Finanziaria 2007. Vent'anni in cui gli enti che hanno avuto il coraggio di dichiarare il default non sono stati moltissimi: 442, per lo più comuni del sud e di piccole dimensioni. Un dato che però, secondo il Viminale, non deve indurre a facili ottimismi perché potrebbe nascondere una realtà molto più critica. «Il dissesto», si legge nella relazione, «è stato dichiarato maggiormente nei piccoli enti dove gli equilibri contabili vengono subito sconvolti dall'insorgere di debiti fuori bilancio e nelle regioni del sud Italia dove sicuramente negli anni passati gli enti locali sono stati gestiti con minore attenzione agli aspetti di regolarità contabile, ma hanno avuto minori possibilità di godere di un benessere socio-economico territoriale». Ciononostante, i recenti casi di dissesto che hanno coinvolto grandi comuni (Napoli, Potenza, Benevento, Chieti, la provincia di Napoli, Enna nel 2006 e Taranto nel 2007) secondo il ministero dell'interno devono far riflettere. Perché i conti degli enti locali non sono tutti rose e fiori. Qualche mese fa fu la Ragioneria generale dello stato a lanciare l'allarme (si veda ItaliaOggi del 14/10/2009): «La situazione finanziaria dei comuni appare molto critica», scriveva il dipartimento guidato da Mario Canzio, «e i fenomeni degenerativi sono oramai espressione di una linea di tendenza che si va consolidando». Un cattivo andamento della spesa corrente, accompagnato da una gestione fasulla dei residui attivi e da una situazione di cassa critica, aggravata spesso dall'utilizzo di debiti fuori bilancio: questo il quadro (preoccupante) tracciato dalla Ragioneria e rilanciato dal Viminale. «Dalle risultanze ispettive», scrivono i tecnici di Roberto Maroni, citando il report della Rgs, «si è evidenziata la presenza di dissesti non dichiarati che alla fine producono conseguenze ancora più gravi in quanto, se la crisi finanziaria viene dichiarata in tempi fisiologici, c'è la possibilità di ottenere un vero risanamento. Se questo non accade, l'uscita dalla crisi diventa un'operazione impossibile da raggiungere soltanto con azioni a livello locale e, di conseguenza, diventa necessario un intervento a livello centrale».
Dai dati del Viminale risulta che la maggior parte delle situazioni di sofferenza sono emerse nei primi cinque anni dall'entrata in vigore della normativa sul dissesto (125 nel 1989, 64 nel 1990, 45 nel '91, 46 nel '92, 52 nel '93, 38 nel '94, 16 nel '95). Ma poi il trend è stato via via decrescente fino ad arrivare al massimo a 5 default all'anno (come nel 1999, nel 2008 e nel 2010). Dati che non fanno sorridere il Minterno perché nascondono, invece, «una seria e sommersa difficoltà finanziaria-gestionale degli enti locali», testimoniata dal recente crack del comune di Taranto e «dall'elevato numero di enti locali che lamenta condizioni di pre-dissesto».
I tecnici del dipartimento guidato da Giancarlo Verde hanno analizzato i primi vent'anni di normativa sul dissesto, dal decreto legge n.66/1989 con cui l'istituto ha fatto la prima comparsa nel nostro ordinamento fino al Testo unico del 2000 con le modifiche introdotte sul punto dalla Finanziaria 2007. Vent'anni in cui gli enti che hanno avuto il coraggio di dichiarare il default non sono stati moltissimi: 442, per lo più comuni del sud e di piccole dimensioni. Un dato che però, secondo il Viminale, non deve indurre a facili ottimismi perché potrebbe nascondere una realtà molto più critica. «Il dissesto», si legge nella relazione, «è stato dichiarato maggiormente nei piccoli enti dove gli equilibri contabili vengono subito sconvolti dall'insorgere di debiti fuori bilancio e nelle regioni del sud Italia dove sicuramente negli anni passati gli enti locali sono stati gestiti con minore attenzione agli aspetti di regolarità contabile, ma hanno avuto minori possibilità di godere di un benessere socio-economico territoriale». Ciononostante, i recenti casi di dissesto che hanno coinvolto grandi comuni (Napoli, Potenza, Benevento, Chieti, la provincia di Napoli, Enna nel 2006 e Taranto nel 2007) secondo il ministero dell'interno devono far riflettere. Perché i conti degli enti locali non sono tutti rose e fiori. Qualche mese fa fu la Ragioneria generale dello stato a lanciare l'allarme (si veda ItaliaOggi del 14/10/2009): «La situazione finanziaria dei comuni appare molto critica», scriveva il dipartimento guidato da Mario Canzio, «e i fenomeni degenerativi sono oramai espressione di una linea di tendenza che si va consolidando». Un cattivo andamento della spesa corrente, accompagnato da una gestione fasulla dei residui attivi e da una situazione di cassa critica, aggravata spesso dall'utilizzo di debiti fuori bilancio: questo il quadro (preoccupante) tracciato dalla Ragioneria e rilanciato dal Viminale. «Dalle risultanze ispettive», scrivono i tecnici di Roberto Maroni, citando il report della Rgs, «si è evidenziata la presenza di dissesti non dichiarati che alla fine producono conseguenze ancora più gravi in quanto, se la crisi finanziaria viene dichiarata in tempi fisiologici, c'è la possibilità di ottenere un vero risanamento. Se questo non accade, l'uscita dalla crisi diventa un'operazione impossibile da raggiungere soltanto con azioni a livello locale e, di conseguenza, diventa necessario un intervento a livello centrale».
Dai dati del Viminale risulta che la maggior parte delle situazioni di sofferenza sono emerse nei primi cinque anni dall'entrata in vigore della normativa sul dissesto (125 nel 1989, 64 nel 1990, 45 nel '91, 46 nel '92, 52 nel '93, 38 nel '94, 16 nel '95). Ma poi il trend è stato via via decrescente fino ad arrivare al massimo a 5 default all'anno (come nel 1999, nel 2008 e nel 2010). Dati che non fanno sorridere il Minterno perché nascondono, invece, «una seria e sommersa difficoltà finanziaria-gestionale degli enti locali», testimoniata dal recente crack del comune di Taranto e «dall'elevato numero di enti locali che lamenta condizioni di pre-dissesto».
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